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domenica 12 gennaio 2014

Hector Varela: Croce e delizia





Qualche anno fa avrei intitolato questo articolo “Il Dio Varela” per quanto fossero richiesti i suoi brani nelle milonghe italiane dei primi anni duemila. Puntuali come un orologio svizzero, verso la fine della serata i TJ mandavano la tanda di Varela, che aveva un potere così evocativo da far risvegliare i ballerini più assonnati, ma soprattutto le ballerine più romantiche.

 “El flaco Varela” è probabilmente il direttore d’orchestra tipica più chiacchierato sui blog e sui social networks. Attraverso le sue opere è stato capace, negli ultimi anni, di creare schieramenti contrapposti tra fan agguerritissimi e puristi de la decada del ’40.

E questa contrapposizione ha prima di tutto generato centinaia di post sui principali social network, cosa che normalmente incuriosisce le persone, ma soprattutto ha acceso una falsa polemica, alimentata da una chiosa di pareri di opinionisti della domenica, che continua ad infervorare i ballerini.

A dire il vero, Varela non è mai stato un personaggio anonimo nella storia del tango. Il primo bandoneon e arrangiatore dell'orchestra di Juan D'Arienzo, “per dieci anni è stato identificato con le correnti di netta estrazione tradizionale, facendo emergere, come elemento qualificante la sua Orchestra, la precisione di una difficile realizzazione tecnica, all’interno di un’attenta marca ritmica che gli è propria". Jorge Palacio"Faruk" in un bellissimo libro intitolato “La storia dell’orchestra tipica” aggiunge: "Tutto ciò è, né più né meno, quello che ha cercato Varela durante tutta la sua carriera, ottenere che con la sua orchestra si potesse ballare".

Nacque nel 1914 nel quartiere di Avellaneda, dove visse la sua infanzia e la sua giovinezza. Divenne ragioniere ma mai praticò questa professione. Iniziò i primi studi del bandoneon con maestri locali, ma poi proseguì presso il Conservatorio diretto da Eladio Blanco per poi iniziare a suonare, giovanissimo, nella prima orchestra di Juan D'Arienzo. Nel 1940 a 26 anni era già un bandoneonista consacrato, che condivideva i teatri ed i club con grandi musicisti di tango: il violinista Cayetano Puglisi, il collega Carlos Lazzari ed il pianista Fulvio Salamanca. E 'stato il primo bandoneon e arrangiatore di D'Arienzo nel corso dei dieci anni trascorsi nella sua orchestra.

Furono anni pieni di successo su Radio El Mundo, nei club, nel cabaret " Chantecler ", con il principe cubano, durante le estati uruguaiane, quando il pubblico inondava l' Hotel Casino Carrasco (a Montevideo), per godere delle interpretazioni del grande maestro."




Durante quel periodo , Varela compose diversi tanghi diventati poi dei classici : "Mirame en la cara", "Lilian", "Si supiera que la extraño", "Salí de perdedor", "Chichipía", "Don Alfonso", "Te espero en Rodríguez Peña", "Tres horas" e "Bien pulenta. Solo D' Arienzo ha registrato una ventina delle sue opere.

Di quel periodo Jorge Palacio"Faruk", storico del tango, scrive: “la decada del ’40 divenne straordinaria grazie ad un bandoneonista eccezionale: Anibal Troilo. Non che gli altri grandi maestri fossero da meno, ma la gente scelse Troilo come suo idolo, in virtù delle sue doti di musicista e di direttore. Chi ha avuto la fortuna di vivere in quell’epoca non si rese conto di tale meraviglia, fin quando, giunta la decade successiva, quella del ’50, risultava sempre più difficile trovare locali dove si potesse ballare un buon tango”. Così come nel 1935 irruppe D’Arienzo con tutta la sua forza, negli anni ’50 Buenos Aires stava cercando un altro scossone ritmico. Naturalmente quello che tutti stavano cercando non poteva che uscire dalle fila dell’orchestra del Rey del compas: Hector Varela! Se un “grassone malinconico e geniale” si era appropriato della decada del ’40, “uno smilzo dinamico e nervoso” stava diventando astro incontrastato della decade che iniziava.
Lascia l'orchestra nel 1950, nel periodo di maggior successo, per formarne una propria. Il pubblico e la critica avevano previsto, la nascita di un nuovo raggruppamento con il vecchio stile D'Arienzo, ma Varela sorprese praticamente tutti presentando un mix di ritmo e suono assolutamente personale.
Varela ebbe un successo esagerato. In radio era sempre in prima serata e fu assunto al cabaret "Chantecler", il club di D’Arienzo. Inserì nell’orchestra il cantante Armando Laborde e quando questi, si svincolò assunse Argentino Ledesma e Rodolfo Lesica proponendo un tango romantico che gli procurò, grazie anche alla diffusione in radio, una popolarità impressionante.
Colgo l’occasione per raccontare un aneddoto personale. Mia suocera argentina Yuli, classe 1930, ascolta tutto il giorno la Radio 2x4, ricorda vagamente orchestre come Troilo con Fiorentino o D’Agostino con Vargas, ma quando va in onda Varela con Lezica, l’espressione del suo viso, segnato dalla vita, cambia, si commuove e dalla sua bocca esce il verso di una canzone ascoltata nella decade del ’50 la prima volta. Questa è stata la potenza di Hector Varela, arrivare negli anni ’50 al cuore delle gente, soprattutto di quelli che non ballavano il tango. Piaceva praticamente a tutti…. tranne che ai ballerini, forse delusi della vena così commerciale che aveva assunto la sua proposta.
Questa dura critica giunse fino alla fine degli anni ’70, quando Astor Piazzolla si scomodò per criticare duramente il lavoro di Varela in una intervista di fuoco a una rivista specializzata. In quell’occasione il Maestro disse: “Oggi, 1979, non è possibile che due tipi cantino facendo gesti con la bocca e con le mani. Questo è il tango di oggi? Questa è la canzone maschia che vogliamo imporre? I cantanti di oggi sono uno peggio dell’altro e la colpa è certamente dei direttori come Hector Varela o come altri che è meglio non nominare. Escludendo Osvaldo Pugliese, Raul Garello o Rodolfo Mederos, quanto tempo è che non si sente una buona orchestra di tango popolare? Tutto ciò è volgare e di pessimo gusto” (Rivista Spot, 1979).
Varela rispose a questa dura critica per le rime, pubblicando una lettera su un quotidiano di tiratura nazionale: “Penso che Piazzolla sia un risentito sociale, un antiargentino ed un denigratore di tutto ciò che rappresenta l’immagine del nostro paese. Viene a guadagnare dollari qui per poi spenderli in Costa Azzurra insieme a pseudointellettuali che gli girano intorno. Si sente il messia del Tango, il padrone della musica porteña, ma con la terribile disgrazia di non essere né Beethoven né tantomeno Francisco Canaro. Attaccare in questo modo i sui colleghi vuol dire sentirsi inferiore ed incapace di competere” (Asì Cronica, 24 settembre 1979).
Qualche tempo dopo, Varela ad un giornalista che ricordava i fatti del 1979 rispose, infastidito nel rammentare gli eventi, di non essere una persona polemica, ma che il fatto di essere uno di quelli che aveva venduto più dischi nella storia del tango aveva un significato e cioè di essere benvoluto dalla gente. Me buscan y me encuentran soleva spesso dire.
Certo Piazzolla non aveva un buon carattere. La sua arroganza veniva perdonata in relazione al suo genio. D'altronde aveva criticato lo stesso Troilo, el bandoneon major de Buenos Aires, sostenendo che pur essendo stato un buon musicista “era rimasto incastrato nel tango”.
Che dire di Varela, un arrangiatore geniale ed un ottimo bandoneonista, croce e delizia del popolo dei ballerini, c’è chi lo ama e chi lo odia. A mio avviso, ritengo che il Varela del ’50 sia eccessivo in milonga, ma amo da morire gli arrangiamenti degli istrumental di D’Arienzo della decada del ’40. D'altronde dove c’è gusto non c’è perdenza.

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