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domenica 5 aprile 2015

Leopoldo Federico: “El tango es mi vida misma”





Il 28 Dicembre 2014, è morto Leopoldo Federico, una delle massime figure del tango, aveva 87 anni.
Ne ha dato notizia la “Asociación Argentina de Intérpretes” (AADI), di cui il Maestro era presidente.
Col bandoneón, compagno di una vita, quasi parte del suo corpo, ha suonato con le più grandi orchestre, da Di Sarli a Piazzolla, da Salgán a Mariano Mores, oltre ad aver brillato di luce propria per più di 50 anni con la sua orchestra.
Nella maggior parte dei casi quando scrivo di un Maestro di tango, mi impelago nella ricerca bibliografica di fonti, che spesso risultano contradditorie e controverse, tanto che certe volte pare di raccontare una leggenda piuttosto che un fatto storico. Con Federico questo non succede, perché la sua storia la racconta lui stesso nelle decine di interviste rilasciate nel corso di 50 anni di carriera, tutte gelosamente catalogate e conservate dall’AADI.
E’ un piacere sentirlo raccontare delle sue origini, dei suoi amici e delle sue esperienze e mi si è aperto il cuore quando, in una recente intervista contenuta nel DVD Tango y Origen di Pedro Chemes (che fortunatamente posseggo….) sostiene che l’unico vero motivo del suo successo è stato un colpo di fortuna.
Proverò quindi a raccontarvi queste interviste un po’ come fa la RAI che manda per radio il racconto per “non vedenti” di alcune trasmissioni televisive. Vi racconterò di un uomo mite e umile che con grande rispetto e semplicità parla di tango così come un prete spiega il Nuovo Testamento ovvero a parabole.
Immaginatelo raccontare queste cose nella sua casa, in pantofole, con la camicia aperta per il caldo e gli occhiali spessi di sempre, seduto su una sedia di legno. Sugli scaffali della libreria, traboccanti di premi, ci sono molte foto con gli amici dell'ambiente del tango, quello del ’40, ma sono molte di più le foto con i suoi nipoti e pronipoti. Ha rappresentato la storia vivente del tango, soprattutto dagli anni ’50 ad oggi, ha fatto parte di una élite costituita da ben pochi artisti. Egli testimonia il vecchio e l'avanguardia, e la sua carriera sintetizza quasi tutte le correnti quelle tradizionali e le evoluzioniste. Ma soprattutto per il suo virtuosismo nell'interpretare il bandoneon, strappandosi le dita in ogni nota, Leopoldo Federico è uno dei musicisti iconici e fondanti il 2x4 in Argentina. E non possiamo che annuire quando afferma: "Il tango è la mia vita stessa”.

Nella nostalgica Buenos Aires della metà degli anni '30, nel quartiere Once, Federico ebbe un primo contatto con chi sarebbe stato il compagno di una vita: il bandoneon. Suo zio, che viveva in casa sua, senza quasi rendersi conto, lo introdusse alla musica rioplatense quando entrambi si sedevano per ascoltare la radio El Mundo e Belgrano. "Mi raccontava delle orchestre, e io non sapevo e non ne capivo niente, né tantomeno mi passava per la mente comprendere quella strana musica, avevo solo 10 anni", ricorda Leopoldo. Mentre i giorni passavano, quelle melodie rimanevano nella mente del giovane ed ogni volta migliorava la sua capacità di riconoscere le orchestre tanto da poter identificare la “personalità che i musicisti davano al bandoneon”. Non passò molto tempo fino a quando iniziò a prendere lezioni di musica con un insegnante amico di suo padre. “Ho iniziato con la teoria musicale e poi mi comprarono un bandoneon. Immediatamente mi entusiasmai per lo strumento”, ricorda. Suo zio fu di vitale importanza per i suoi inizi: “Non so perché ho studiato bandoneon, perché mi piaceva oppure per farlo contento”, dice sorridendo e bevendo un sorso d'acqua.

Leopoldo ricorda con nostalgia quei tempi, quando, a soli 17 anni gli dicevano “gordo” o “pibe”. Iniziò la sua carriera professionale, favorito da un periodo in cui la società stava respirando tango. Nella Avenida Corrientes, tra Callao ed il Bajo, i locali si riempivano di persone in cerca di milongas. Fin dai suoi inizi suonò nei cabaret, almeno in quelli in cui riusciva ad entrare vista la sua corporatura robusta, poiché non erano ammessi minori, racconta allegramente, poi cominciò la sua vertiginosa carriera suonando con maestri del calibro di Alfredo Gobbi, Victor D'Amario e Osmar Maderna. In seguito si unì all’orchestra di Mariano Mores, Hector Stamponi, Carlos Di Sarli, Lucio Demare, Horacio Salgán e Atilio Stampone. "Sono andato lentamente, ho cambiato molto spesso orchestra e da tutti imparato qualcosa", ricorda e umilmente, dice: "Sono stato fortunato."
Eccolo il colpo di fortuna di cui parlavamo prima: vivere in una società che respirava tango e collaborare con i più grandi di quel periodo. A meno di 30 anni, nel 1955, Leopoldo fu chiamato da Astor Piazzolla per sostituire Roberto Pansera in una delle formazioni più rivoluzionarie della storia del tango: l’Octeto Buenos Aires. Uno dei suoi sogni si era avverato, perché per Federico il miglior bandoneonista era Piazzolla. "Il sommo interprete” lo definì. Poi, con la sua orchestra accompagnerà Julio Sosa, fino alla sua morte nel 1964, e in quel periodo raggiunse raggiungere la fama e il riconoscimento su larga scala. "Dopo Julio Sosa ho preso il grande volo", ammette.
Fu proprio in quel periodo che con la sua orchestra viaggiò in tutto il mondo.
Tempo dopo forma un trio con il pianista Osvaldo Berlingieri ed il contrabbassista Fernando Cabarcos, noto come Trio Federico-Berlingieri-Cabarcos.

Quando Federico diventa nostalgico orienta lo sguardo verso il soffitto. Si nota che gli manca quel passato lontano nel tempo, ma così vivido nella sua memoria. Non ha paura di affermare "ciò che era meglio prima" e comincia a pensare. Tanti ricordi gli vengono in mente, prova a descrivere quello che significava la sua vita in quei decenni dal 1940 al 1970, i luoghi dove visse, gli odori di quei posti dove sentiva di tango di Buenos Aires, lontano da ogni moda straniera. Ricorda con gioia quei tempi in cui l'unico rumore udito nella notte di Buenos Aires era il bandoneon suonato da quei Maestri. "Ho tutto come un ricordo, come il più bello, ma che non ritornerà mai più," si lamenta con voce innocente e confessa: "Mi manca quando la gente fischiettava il tango per le strade”. “Il Tango è la mia stessa vita, non trovo altre parole per definirlo. È amore, è espressione. I testi sono poesie, che parlano delle verità di quel tempo. E il bandoneon è un'estensione dell'anima, il mio cuore e la verità è che ho la fortuna di vivere la musica e mi piace quello che faccio”.
Semmai qualcosa ha contraddistinto la brillante carriera di Federico è stato l’impeto nel momento in cui suonava. "Le note sono scritte, ma devono essere interpretate con sentimento" afferma e riconosce che non basta la tecnica per suonare uno strumento "la tecnica è meccanica, i concertisti sono macchine per fare le note, ma a me abbagliano quelli che giocano con emozione”. Ci sono cose nel tango non scritte e non dette, che cambiano tra una prova e l’altra. “Ma poiché noi musicisti siamo sciatti, non le correggiamo. È proprio lì che sta l’interpretazione”.

Sebbene Leopoldo sia ricordato come artista che ha combinato virtuosismo e passione, se è necessario definire il tuo stile si rifiuta di parlare di se stesso e preferisce nominare Pedro Laurenz o Pedro Maffia come due riferimenti di tango che possedevano entrambe le abilità.
Anche se è difficile da credere, il bandoneon di Leopoldo resta tutto il giorno in un angolo quasi abbandonato. “Ho la pessima abitudine di non suonare, io sono pigro. Quando da giovane studiavo lo strumento ero malato, stavo lì per ore e ore. I problemi fisici sono l'ostacolo principale per fare quello che uno vuole. Nonostante i dolori acuti, quando sono sul palco a suonare, cancello tutto della mente; Mi concentro tanto e lascio tutto da parte, non mi importa se fa male dopo".
Leopoldo, dice tutto ciò con uno sguardo sornione, consapevole dei lunghi anni ormai passati, e di quanto i tempi siano cambiati. Sostiene, infatti, che il tango prima era migliore solo come fonte di lavoro. I musicisti erano incoraggiati a fare grandi orchestre. Oggi molti musicisti per quanto siano migliori tecnicamente di quelli del passato sono costretti ad elemosinare la loro arte, data la crisi dell’industria discografica. Per quanto siano bravi non riescono a vivere di musica e tutto ciò fa male all’intero sistema.

Tra i numerosi premi che ricevette ci sono il premio Gardel ed il Grammy latino, per due volte. Fu anche dichiarato cittadino illustre della Città di Buenos Aires nel 2002. Quando, accompagnato da sua moglie Norma, ricevette due anni fa il premio Senador D. F. Sarmiento che la Camera alta concede "a persone fisiche o giuridiche che migliorino la qualità di vita degli abitanti e della sua comunità", riassunse la sua identità ed il suo atteggiamento di fronte alla vita: "Non dico se lo merito o non lo merito. La verità è che sono sempre stato al fianco di gente che mi ha insegnato tanto. Ho sempre avuto la fortuna che mi si avverassero i sogni: suonare con Horacio Salgán è stato un regalo del destino, Astor Piazzolla è “ l’insuperabile”, mi ricordo che con Julio Sosa volevamo ricominciare tutto dal principio per tornare a rifare le stesse cose."


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