Qualche anno fa avrei intitolato questo articolo “Il Dio
Varela” per quanto fossero richiesti i suoi brani nelle milonghe italiane dei
primi anni duemila. Puntuali come un orologio svizzero, verso la fine della
serata i TJ mandavano la tanda di Varela, che aveva un potere così evocativo da
far risvegliare i ballerini più assonnati, ma soprattutto le ballerine più
romantiche.
“El flaco Varela” è
probabilmente il direttore d’orchestra tipica più chiacchierato sui blog e sui
social networks. Attraverso le sue opere è stato capace, negli ultimi anni, di
creare schieramenti contrapposti tra fan agguerritissimi e puristi de la decada
del ’40.
E questa contrapposizione ha prima di tutto generato
centinaia di post sui principali social network, cosa che normalmente
incuriosisce le persone, ma soprattutto ha acceso una falsa polemica,
alimentata da una chiosa di pareri di opinionisti della domenica, che continua
ad infervorare i ballerini.
A dire il vero, Varela non è mai stato un personaggio
anonimo nella storia del tango. Il primo bandoneon e arrangiatore
dell'orchestra di Juan D'Arienzo, “per dieci anni è stato identificato con le
correnti di netta estrazione tradizionale, facendo emergere, come elemento
qualificante la sua Orchestra, la precisione di una difficile realizzazione
tecnica, all’interno di un’attenta marca ritmica che gli è propria". Jorge
Palacio"Faruk" in un bellissimo libro intitolato “La storia
dell’orchestra tipica” aggiunge: "Tutto ciò è, né più né meno, quello che
ha cercato Varela durante tutta la sua carriera, ottenere
che con la sua orchestra si potesse ballare".
Nacque nel 1914 nel quartiere di Avellaneda, dove visse la
sua infanzia e la sua giovinezza. Divenne ragioniere ma mai praticò questa
professione. Iniziò i primi studi del bandoneon con maestri locali, ma poi
proseguì presso il Conservatorio diretto da Eladio Blanco per poi iniziare a
suonare, giovanissimo, nella prima orchestra di Juan D'Arienzo. Nel 1940 a 26
anni era già un bandoneonista consacrato, che condivideva i teatri ed i club
con grandi musicisti di tango: il violinista Cayetano Puglisi, il collega Carlos
Lazzari ed il pianista Fulvio Salamanca. E 'stato il primo bandoneon e
arrangiatore di D'Arienzo nel corso dei dieci anni trascorsi nella sua
orchestra.
Furono anni pieni di successo su Radio El Mundo, nei club,
nel cabaret " Chantecler ", con il principe cubano, durante le estati
uruguaiane, quando il pubblico inondava l' Hotel Casino Carrasco (a
Montevideo), per godere delle interpretazioni del grande maestro."
Durante quel periodo , Varela compose diversi tanghi
diventati poi dei classici : "Mirame en la cara", "Lilian",
"Si supiera que la extraño", "Salí de perdedor",
"Chichipía", "Don Alfonso", "Te espero en Rodríguez
Peña", "Tres horas" e "Bien pulenta. Solo D' Arienzo ha
registrato una ventina delle sue opere.
Di quel periodo Jorge Palacio"Faruk", storico del
tango, scrive: “la decada del ’40 divenne straordinaria grazie ad un
bandoneonista eccezionale: Anibal Troilo. Non che gli altri grandi maestri
fossero da meno, ma la gente scelse Troilo come suo idolo, in virtù delle sue
doti di musicista e di direttore. Chi ha avuto la fortuna di vivere in
quell’epoca non si rese conto di tale meraviglia, fin quando, giunta la decade
successiva, quella del ’50, risultava sempre più difficile trovare locali dove
si potesse ballare un buon tango”. Così come nel 1935 irruppe D’Arienzo con
tutta la sua forza, negli anni ’50 Buenos Aires stava cercando un altro
scossone ritmico. Naturalmente quello che tutti stavano cercando non poteva che
uscire dalle fila dell’orchestra del Rey del compas: Hector Varela! Se un
“grassone malinconico e geniale” si era appropriato della decada del ’40, “uno
smilzo dinamico e nervoso” stava diventando astro incontrastato della decade
che iniziava.
Lascia l'orchestra nel 1950, nel periodo di maggior successo,
per formarne una propria. Il pubblico e la critica avevano previsto, la nascita
di un nuovo raggruppamento con il vecchio stile D'Arienzo, ma Varela sorprese
praticamente tutti presentando un mix di ritmo e suono assolutamente personale.
Varela ebbe un successo esagerato. In radio era sempre in
prima serata e fu assunto al cabaret "Chantecler", il club di D’Arienzo.
Inserì nell’orchestra il cantante Armando Laborde e quando questi, si svincolò
assunse Argentino Ledesma e Rodolfo Lesica proponendo un tango romantico che
gli procurò, grazie anche alla diffusione in radio, una popolarità
impressionante.
Colgo l’occasione per raccontare un aneddoto personale. Mia
suocera argentina Yuli, classe 1930, ascolta tutto il giorno la Radio 2x4, ricorda
vagamente orchestre come Troilo con Fiorentino o D’Agostino con Vargas, ma
quando va in onda Varela con Lezica, l’espressione del suo viso, segnato dalla
vita, cambia, si commuove e dalla sua bocca esce il verso di una canzone
ascoltata nella decade del ’50 la prima volta. Questa è stata la potenza di
Hector Varela, arrivare negli anni ’50 al cuore delle gente, soprattutto di
quelli che non ballavano il tango. Piaceva praticamente a tutti…. tranne che ai
ballerini, forse delusi della vena così commerciale che aveva assunto la sua proposta.
Questa dura critica giunse fino alla fine degli anni ’70,
quando Astor Piazzolla si scomodò per criticare duramente il lavoro di Varela
in una intervista di fuoco a una rivista specializzata. In quell’occasione il
Maestro disse: “Oggi, 1979, non è possibile che due tipi cantino facendo gesti
con la bocca e con le mani. Questo è il tango di oggi? Questa è la canzone maschia
che vogliamo imporre? I cantanti di oggi sono uno peggio dell’altro e la colpa
è certamente dei direttori come Hector Varela o come altri che è meglio non
nominare. Escludendo Osvaldo Pugliese, Raul Garello o Rodolfo Mederos, quanto
tempo è che non si sente una buona orchestra di tango popolare? Tutto ciò è
volgare e di pessimo gusto” (Rivista Spot, 1979).
Varela rispose a questa dura critica per le rime,
pubblicando una lettera su un quotidiano di tiratura nazionale: “Penso che
Piazzolla sia un risentito sociale, un antiargentino ed un denigratore di tutto
ciò che rappresenta l’immagine del nostro paese. Viene a guadagnare dollari qui
per poi spenderli in Costa Azzurra insieme a pseudointellettuali che gli girano
intorno. Si sente il messia del Tango, il padrone della musica porteña, ma con
la terribile disgrazia di non essere né Beethoven né tantomeno Francisco
Canaro. Attaccare in questo modo i sui colleghi vuol dire sentirsi inferiore ed
incapace di competere” (Asì Cronica, 24 settembre 1979).
Qualche tempo dopo, Varela ad un giornalista che ricordava i
fatti del 1979 rispose, infastidito nel rammentare gli eventi, di non essere
una persona polemica, ma che il fatto di essere uno di quelli che aveva venduto
più dischi nella storia del tango aveva un significato e cioè di essere
benvoluto dalla gente. Me buscan y me encuentran soleva spesso dire.
Certo Piazzolla non aveva un buon carattere. La sua arroganza
veniva perdonata in relazione al suo genio. D'altronde aveva criticato lo
stesso Troilo, el bandoneon major de Buenos Aires, sostenendo che pur essendo
stato un buon musicista “era rimasto incastrato nel tango”.
Che dire di Varela, un arrangiatore geniale ed un ottimo
bandoneonista, croce e delizia del popolo dei ballerini, c’è chi lo ama e chi
lo odia. A mio avviso, ritengo che il Varela del ’50 sia eccessivo in milonga,
ma amo da morire gli arrangiamenti degli istrumental di D’Arienzo della decada
del ’40. D'altronde dove c’è gusto non c’è perdenza.
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